Numeri, contagi e digitale

Premesso che è solo un pensiero, un’opinione e come tale conta quello che conta. Ma alla quarta settimana di “domiciliari” credo sia lecito provare a trarre delle conclusioni, personali, ovviamente, ma non si può fermare il pensiero.

Ho letto qualunque cosa sia stata pubblicata sui maggiori quotidiani nazionali e scaricato le analisi sull’epidemia. I numeri mi sono sempre piaciuti, non sono facili da interpretare nel senso che non sempre dicono la verità, ma quando mentono è evidente.

I numeri che vengono pubblicati quotidianamente mentono.

I Cinesi, mentono. Se è vero che il paziente zero è stato datato intorno al 20 novembre e che Wuhan è stata chiusa il 23 gennaio, significa che ha circolato liberamente per due mesi in un territorio con una densità abitativa di 750 persone per chilometro quadrato per l’area metropolitana e circa il doppio per la città.

La Lombardia ha una densità di 422, mentre la provincia di Lodi, ad oggi unanime epicentro italiano del contagio ha una densità di 294, simile alle province della direttrice di diffusione: Cremona 202, Bergamo 404 e Brescia 264.

Il virus è arrivato in Europa il 25 gennaio, la zona rossa è stata creata il 23 febbraio, dopo che il 21 febbraio è stato scoperto il “paziente 1”.

Tirando le somme, in Italia abbiamo avuto un curva di contagi superiore a quella cinese, con il virus che ha circolato libero la metà del tempo e in un territorio che ha meno della metà di densità di popolazione, però, ad oggi, abbiamo cinque volte il numero di morti  della Cina, quando avremmo dovuto averne un quarto. Okey, noi italiani abbiamo abitudini differenti, tipo tre baci per salutarsi, nuclei famigliari più numerosi, con gli anziani che spesso si prendono cura dei più piccoli; ma può bastare?  I numeri di New York, dove non ci sono certo le stesse abitudini dei paesi della Lombardia centrale, ma con una densità decisamente superiore (circa il doppio di Wuhan), la crescita dei contagi è molto superiore alla nostra, con curva logaritmica. 

I 14 giorni. Che dovrebbe essere il periodo di incubazione del virus e che ha determinato la decisione di isolare tutti per quel periodo. I 14 giorni mentono. Infatti, passati i primi in isolamento non c’è segno di una diminuzione del numero di contagi. Certo, anche qui ci sono diverse variabili: non si ha la certezza del periodo esatto di incubazione, bisogna aggiungere 5 giorni per la comparsa dei sintomi, il denominatore è sbagliato, uguale: si fanno i tamponi solo ai sintomatici.

L’unico schema numerico utilizzabile è trovare un campione statistico valido. Vo Euganeo, 3305 abitanti con una densità di 162, zona rossa iniziale e dove, tra il 25 febbraio e il 5 marzo sono stati fatti 2778 tamponi, trovandone 66 positive, di cui solo 6 riferiti a persone sintomatiche. Grazie a questo campione è plausibile pensare che i contagiati datati al 5 marzo fossero 11 volte il numero dei sintomatici, quindi 3296×11=36256. Purtroppo dopo questa data il campione perde di significato, ma il periodo in esame permette di effettuare i calcoli dei 35 giorni successivi al pazienze 0. 

 Primo tra tutti il tasso di contagio, ossia il numero di persone che vengono contagiate da ogni nuovo infetto. Applicando un fattore di 2,54 e un tempo di cinque giorni tra contagio e contagiosità si arriva esattamente a quel numero. Rimodulando la formula con un fattore di riduzione (0,4) per via del numero inferiore di persone che circolano dopo la stretta del 9 marzo e la strettissima del 21 marzo, si arriverebbe alla data del 31 marzo quando il numero dei nuovi contagiati dovrebbe essere inferiore alla somma di deceduti e guariti. Se anche così fosse sarebbe necessario almeno un altro mese per invertire e azzerare. Tanto, troppo.

Torno alla premessa, è solo un esercizio di comprensione, nulla di scientifico, ma i numeri, in questo modo, hanno un significato. Almeno per me e nonostante le variabili dell’equazione siano tante e nessuna certa. 

Ci sono i medici, che sono quelli in prima linea contro l’emergenza, per cui chapeau; ma sono anche quelli che se li interpelli per un fastidio al ginocchio ti dicono di smettere di correre. È il loro pensiero scientifico: elimina la causa. Un opinione autorevole, ovvio, ma se l’esecutivo, che deve decidere, aspetta la completa guarigione prima di tornare almeno a camminare, allora non sta decidendo, semplicemente non ha voglia di correre. Credo si debba fare qualcosa, nulla di avventato ma iniziare a pianificare qualche mossa, questo sì. 

E poi c’è la scoperta del digitale, forse la cosa più positiva in questo periodo in cui la Terra si è presa una pausa dal suo ospite più invadente. Tutti, nonni compresi, hanno scoperto le videochiamate, l’è-commerce, come informarsi al di fuori dei social network (forse più una speranza che una realtà). Regione Lombardia per verificare i movimenti ha chiesto di monitorare le utenze telefoniche, scoprendo quel famoso 40% di persone che ancora circolavano. Il digitale potrebbe essere una via d’uscita, seppur attraverso il percorso mai sperimentato della Legge Marziale “selettiva”. 

La “App” di cui si sente spesso parlare è sviante, come sempre nel digitale si tratta solo di un canale per raggiungere in modo diverso più persone, in un tempo più e in modo bidirezionale e più capillare. È quello che sta dietro che è complesso. Realizzarne una che abbia un semaforo è uno dei primi esercizi che si fanno quando si impara a programmare. Pensare al funzionamento, al modello, no.

In primo luogo bisogna risolvere le annose questioni relative all’identità digitale e alla sua non compromissione o manomissione, il fatto che il dato presenti certezze di integrità, disponibilità e confidenzialità. E poi c’è la tematica della privacy che, però, personalmente mi sembra solo un sofismo, un argomento di discussione tanto vasto da essere sempre giusto e contemporaneamente sempre sbagliato. 

Il funzionamento. Questo è piuttosto semplice, dovrebbe dire, innanzitutto il ruolo della persona nell’emergenza: sanitari, forze dell’ordine, filiera alimentare, trasportatori, operatori di attività necessarie, altri. E poi dovrebbe dire lo stato di salute, ossia l’ultima volta che si è certificato la non-positività, chiaramente con scadenza. La comunità scientifica potrebbe dire ogni quanto ripetere il test per avere un rischio accettabile, magari i 5 giorni del modello. Ossia, fai il test, sei negativo e puoi circolare per cinque giorni, poi lo rifai o stai a casa. 

Ecco che l’organizzazione che sta dietro diventa complessa. Il primo punto potrebbe essere la certificazione (con rischio, ovviamente) del test rapido e poi i metodi per effettuarlo. Un’ipotesi sarebbe fare dei presidi sui luoghi di lavoro per i lavoratori considerati “indispensabili” e dei checkpoint per gli altri (ad esempio i centri alimentari, magari chiedendo uno sforzo ai gestori). Complessa l’organizzazione, complesso il controllo, da cui la dicitura “legga marziale selettiva” che deriva dall’idea che forse solo l’esercito abbia il numero di persone necessario per farlo e tanti saluti alla paura di un colpo di stato militare che, ormai, dovrebbe essere un concetto relegato solo ai libri di storia.

Le questioni tecniche: integrità, disponibili e confidenzialità dipendono dai sistemi di backend, ossia quelli che immagazzinano ed elaborano i dati. Questioni tecniche, appunto, oggi più che mai risolvibili. Diverso il discorso dell’identità, ossia come garantire che chi utilizza il sistema sia effettivamente chi dice di essere; anche questo comunque risolvibile con un connubio di dati dai gestori telefonici (chi è l’intestatario o l’utilizzatore della SIM), controlli delle forze dell’ordini ai checkpoint e #SPID per l’accesso. E già, l’occasione per risolvere il più grande vincolo alla digitalizzazione del Paese è qui, proprio con questa crisi: tutti dovrebbero dotarsi del Sistema Pubblico di Identità Digitale!!! Cosa che verrebbe incredibilmente utile in futuro. Per inciso, il secondo vincolo, la disponibilità di banda, è venuto a cadere visto che l’infrastruttura sta tenendo con centinaia di migliaia di lavoratori in #smartworking e altrettanti chiusi in casa con possibilità di socializzare solo digitalmente.

La #privacy, come detto, è un tema spinoso solo a parole, perché non esiste in tutto il processo una sola informazione che il governo o la regione, proprietaria dei dati sanitari, non sappia di noi. I più scaltri potrebbero obiettare “la geolocalizzazione”. Vero, però facendo un po’ di attenzione alla cronaca giudiziaria, si scoprirebbe che la metodologia di indagine più utilizzata è l’intercettazione telefonica e la geolocalizzazione dell’utenza (anche se non precisa come il GPS). Questo non si limita alla persona oggetto dell’indagini, ma anche a tutte quelle che con lui/lei vengono in contatto. Anche Google potrebbe essere d’accordo dato che non daremmo allo Stato nessuna delle preziosissime informazioni che invece regaliamo ai “big” del digitale. Ma questa è un’altra storia.

Va beh, non so se qualcun altro arriverà a leggere fino a qui, però ribadisco che quanto scritto non ha alcuna pretesa di scientificità per l’aspetto dell’emergenza, ma la “soluzione” ipotizzata (comunque meno di una bozza) sarebbe un ulteriore acceleratore per la digitalizzazione del Paese e in nessun modo potrei vedere la cosa in modo negativo, compreso il compromesso di poter uscire solo se l’applicazione mi dice che posso farlo. La fattibilità? Credo che la Pubblica Amministrazione con le sue forze non sia in grado nei tempi necessari, ma il sistema paese nel suo complesso sì.

2 risposte a “Numeri, contagi e digitale”

  1. Ho letto fino in fondo il tuo articolo e lo trovo molto interessante. Condivido con te che tutte le misure che stiamo adottando come paese servono a contenere la pandemia nell’immediato ed e’ la cosa piu’ semplice da mettere in atto, ma che serve qualche idea piu’ innovativa ed impegnativa per tentare di tornare alla normalita’ nel piu’ breve tempo possibile. A presto. ciao

  2. Grande analisi, non so se sapremo mai la verità, in ogni caso tornare a qualcosa di normale sarà molto duro, tutto quello che conosciamo oggi si è ribaltato; addirittura il petrolio che punta ai 5$ al barile perché non sanno più dove metterlo e costa anche tenerlo parcheggiato. Ma per noi che abbiamo visto tutti i possibili scenari di fantascienza in questi anni, sarà un gioco da ragazzi !! Tutto accade a New York e si risolve, ora è a New York, attendiamo che arrivi qualche super eroe …

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